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Franco Rognoni

Artista indipendente, Rognoni si avvia per un percorso solitario lontano dalla seduzione delle nuove avanguardie, che peraltro propongono forme a lui ben note già dagli anni ’30 (Licini, Melotti, Veronesi, Soldati), elaborando il suo mondo alla continua ricerca di un linguaggio personale. È un periodo questo di ripensamenti durante il quale egli alterna e sviluppa modalità di diverse culture; da quella francese di Matisse e Dufy, a quella tedesca di tendenza espressionistica di Beckmann, Grosz e Dix estendendo il proprio interesse anche a Chagall e Kokoschka. Alla fine della guerra mondiale Rognoni si trova in una situazione conflittuale: da un lato è spinto da una forte motivazione a partecipare, con la propria opera, ai movimenti politici e sociali, dall’altro, a causa della sua visione tendenzialmente pessimistica, profondamente colpito dall’evento atomico, ritiene esaurita la funzione dell’arte e della pittura in particolare, specie quella di cavalletto. È più propenso all’idea della funzione della pittura murale riconoscendone l’efficacia così come esposto nel 1933 dal Manifesto della pittura murale (Campigli, Carrà, Funi, Sironi). 

Si dedica all’attività di scenografo, anche se in modo non strettamente professionistico, lavorando per la Piccola Scala di Milano (La donna è mobile di Riccardo Malipiero), la Fenice di Venezia (Il Circo Max di Gino Negri), il Teatro Regio di Torino (El Retablo di De Falla), il Teatro Politeama Margherita di Genova (Battono alla porta di Riccardo Malipiero su libretto di Dino Buzzati) nonché sperimentando nuove soluzioni per la televisione, nata da pochissimo, con le scenografie e i costumi per l’opera Mavra di Stravinsky. 
Non è però certo facile per Rognoni conciliare il dualismo interiore: poiché trova difficoltà a individuare le coordinate di natura estetica ma ancor più quelle di carattere etico. Le sue varie esperienze e soprattutto l’intensa attività che derivava dalla collaborazione con altri nel teatro e nell’editoria, gli servono ad uscire dalla solitudine sia esistenziale che artistica. La sua pittura che negli anni ’60 appare scura, tormentata, a volte sovraccarica, diviene meno ossessiva, acquisendo forme più libere e ispirate a una visione fantastica rasserenata da guizzi ironici dove il suo inconfondibile disegno arabesca la stesura del colore ottenendo un esprit de finesse particolare che diventa la sua cifra. 

 

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